Al MIA, il Mercato Internazionale dell’Audiovisivo in corso a Roma nei giorni della Festa del Cinema, si è riunito in un talk il mondo della televisione europea, alla ricerca di una risposta al modello americano. Si è cominciato dai numeri nazionali: “l’audiovisivo italiano – ha sottolineato Giovanni Stabilini, amministratore delegato di Cattlleya – produce ogni anno, a livello di ricavi, quanto un solo blockbuster internazionale: siamo un piccolo stagno in cui i talenti sono pochi, per migliorare la tv serve esperienza cinematografica”. Nicola Giuliano, il fondatore della casa di produzione italiana Indigo ha ricordato che “oggi siamo un piccolo stagno perché fino a pochi anni fa eravamo un deserto, senza prodotti esportabili. Oggi io vedo un grande miglioramento”. Lo sceneggiatore Giacomo Durzi, uno degli autori di In Treatment, la serie Sky del 2013 girata da Saverio Costanzo, è intervenuto, sottolineando che “c’è una generazione di giovani autori e registi che possono produrre una televisione internazionale, ma non sono ascoltati dalla televisione mainstream”. Gli ha risposto il produttore Roberto Sessa, fondatore di Picomedia: “In dieci anni la televisione italiana ha perso il 35% delle sue risorse, dobbiamo parlare di artigianato anziché di industria. E senza risorse è difficile fare produzioni di alto livello”. Se l’Italia si è interrogata sulle sue difficoltà, anche gli altri mercati europei hanno mostrato i loro punti deboli: Carole Baraton, che con Wild Bunch è partner di Lux Vide, Big Light e Rai Fiction per la serie sui Medici con Dustin Hoffman, ha lamentato il ritardo della televisione francese rispetto a quella scandinava. E il direttore delle fiction di Fremantle Sarah Doole ha mostrato un lato inedito dell’industria dell’audiovisivo inglese: “Fino a qualche anno fa giravamo tutto all’estero, per cui ora non abbiamo location, studios, professionalità tecniche. Abbiamo bisogno di uno strumento per cercare talenti in tutta Europa, senza limiti”.